Sequestro o soccorso? 


Era trascorso un giorno e Raul dopo aver preso la Tachipirina e la Clorochina per la malaria ancora non stava meglio. 
Nemmeno le gocce di Novalgina gli aveva tolto il forte mal di testa, ma solo alleviato.
Fra Alessandro decise, allora, di caricarlo sulla macchina e portarlo all`ospedale.
fu un`impresa non facile perché non stava fermo e si muoveva in modo strano e si contorceva.
Marco lo prese tra le braccia e tentava di tenerlo fermo per permettere a Fra Alessandro di non essere disturbato alla guida.
Giunsero all`Ospedale di Marracuene, che é molto vicino al nostro Centro.
Si fece premura ai primi infermieri che gli vennero incontro, perché si avvertiva della gravitá in cui versava il ragazzo.
Questi, con la loro lentezza innata e per la loro concezione che si trattava di un malato qualsiasi e per di piú era un ragazzo, cercavano di delegare qualcun altro per tale attenzione e per tali cure.
Fra Alessandro, impazzientito per tanta trascuratezza e per poca umanitá verso chi stava male, riprese tra le braccia Raul e chiamó Marco perché lo seguisse; lasciando che gli addetti infermieri continuassero a cercare chi tra di loro volesse interessarsi del caso.
Si decise di andare di corsa verso Maputo - la capitale - che lascia sperare migliori attenzioni e prestazioni.
Mentre non era facile tener fermo il ragazzo che si muoveva incoscientemente e impegnava con tutte le sue forze Marco, che a fianco del guidatore faceva di tutto per permettergli una guida indisturbata.
Fermi ad un semaforo della cittá, i passeggeri della chapa (pulmino adibito per il servizio pubblico per il trasporto di persone), che si era a loro affiancata e fermata, notavano qualcosa di strano e di sospettoso (a loro giudizio).
Vedevano il ragazzo muoversi con forza e con rigidezza.
Osservavano che Marco faceva di tutto per impedirgli tali movimenti.
Fra Alessandro che fermava le gambe del ragazzo che erano finite sopra il cruscotto, ma con forza esse irrigidendosi ruppero il vetro del parabrezza.
Nel frattempo la macchina era circondata da mozambicani che scesi dalla chapa non vollero piú assitere passivamente ad un tale rapimento di un loro mozambicano.
Aprirono la macchina e liberarono il ragazzo dalla mano dei bianchi, tolsero le chiavi della macchina dalle mani del guidatore.  Urlavano e sbraitavano e non vollero credere alle parole dei due missionari che stavano tentando in tutti i modi di spiegare loro cosa stavano facendo e che stavano per giungere il piú presto possibile all`Ospedale per soccorrere un loro figlio che era sempre piú grave.
Non credettero nemmeno ad una donna che gridando - tra loro - aveva riconosciuto i due bianchi per i “Padri di Marracuene”.
Sopraggiunsero gli uomini della Polizia che, con autoritá e competenza, vollero capire cosa stava succedendo.
Chiesero - per prima cosa - i documenti ai due bianchi e li ritirarono per migliori accertamenti e per chiarire qualsiasi dubbio.

Spiegarono e mostrarono alla loro gente che ora erano loro che si sarebbero occupati dei presunti rapinatori e del ragazzo.
Fra Alessandro, Marco e il ragazzo vennero scortati fino all`Ospedale.
Gli addetti del Pronto Soccorso della Clinica intervennero con tempestivitá e il medico che vide arrivare il ragazzo, intuí la gravitá e sollecitó perché si intervenisse senza perdere tempo.
Quelli della Polizia si convinsero che era vero che si trattava di un malato grave e che i due bianchi erano missionari.
Mentre fra Alessandro rimase in Ospedale per assistere Raul e attendere gli esiti, Marco andó alla Centrale della Polizia per ritirare i documenti che nel frattempo furono sottoposti ad accurati accertamenti.
Per telefono venimmo informati che si trattava di malaria cerebrale, la piú pericolosa e la piú grave, e che il plasmodio si annida nel cervello e puó lederlo gravemente e irreparabilmente.
Raul (ragazzo di sedici anni del villaggio di Hobyana, che si trova aldilá del fiume e che frequentava il nostro Centro), nonostante gli interventi veramente professionali degli addetti, perse quasi subito conoscenza e da quel giorno rimase in coma.
Doveva dare qualche segno di miglioramento entro sei ore.
Da quel giorno le ore passarono ma non diede nessun segno né si sveglió, se non solo perché - dopo 10 giorni di coma - fu chiamato al Creatore. 
Avremo, se Dio vorrá, il primo angelo custode africano che intercederá e ci proteggerá dall`alto.

p. Agostino