Una valigia dal valore inestimabile

 

Quand’ero ragazzino e vedevo passare sopra la mia testa gli aerei non avevo mai pensato che un giorno anch’io avrei viaggiato con tali mezzi di trasporto. Giunse il tempo di prendere l’aereo per andare lontano e durante il volo provare le molte sensazioni che il viaggio offre. Soprattutto quando si tratta di un viaggio al cui arrivo si sa di incontrare persone molto care e che da tempo non si vedono. I pensieri, i ricordi e le emozioni che si provano vengono spontanei e nascono dall’interiorità. Durante il viaggio si immagina i loro volti: avranno forse qualche ruga in più, qualche cappello grigio in più. Il tempo passa e i cambiamenti avvengono per tutti.

Quest’ultimo viaggio, però, che dal Mozambico mi ha riportato in Italia, la sensazione provata non è stata la stessa. Qualcosa di strano provavo e tutto sembrava differente. Mentre l’aereo si allontanava sempre più dal Mozambico e si avvicinava sempre più all’Europa rivedevo i molti volti delle persone mozambicane conosciute, abbracciate e salutate. Come diapositive mi apparivano uno dopo l’altro anziani e giovani, uomini, donne e bambini delle comunità che raggiungevo ogni domenica, dopo aver percorso con la macchina o a piedi le strade polverose e fangose della savana. Veniva spontaneo lasciarsi trasportare dal pensiero per rivivere nelle cappelle le animate celebrazioni rese vive dai canti e dalle coinvolgenti danze ritmate da strumenti a percussioni. Ero ormai lontano e a undicimila metri d’altezza, eppure mi sembrava di essere tra loro e di sentire i loro tamburi nella risonanza della memoria. Sullo stesso volo ero circondato da passeggeri che per l’ora della notte stavano dormendo, al contrario di me che - come ogni altra volta - non riuscivo a prendere sonno e ancora il pensiero mi portava nel centro dove ho vissuto nove anni della mia vita con ragazzi e ragazze, orfani e abbandonati dai genitori. Mi pareva di avere ancora su di me i loro sguardi, di sentire le loro voci e - di riflesso - ricordare la situazione e i problemi di ciascuno, ripensare alle loro aspettative e speranze per le quali - grazie all’ospitalità del nostro centro e del nostro collegio - ciascuno si impegnava per realizzarle. I più piccoli, poi, quelli che accoglievo alla scuola materna sembrava che nuovamente mi cercassero, come ogni qualvolta stavo con loro mi trattenevano per la maglietta per ricevere tenerezza e affetto.

Il viaggio di ritorno in Italia per un periodo di vacanza era sempre stato emozionante. Il pensiero di ritornare nella propria terra e tra la propria gente era sempre stato entusiasmante e piacevole. Questa volta, però, il viaggio non era vissuto e sentito allo stesso modo delle volte precedenti. Non avevo chiesto io di lasciare l’Africa, né di tornare in Italia. Sapevo che una nuova responsabilità mi attendeva in Italia e non avrei fatto ritorno in Africa. Un nuovo lavoro avrebbe occupato le mie giornate per le missioni che la mia Congregazione ha in Mozambico e in Brasile. In Mozambico mi occupavo anche degli adottati a distanza. Ora, oltre a questi - e lontano dai destinatari - mi attendono tutte le altre adozioni a distanza del Mozambico e quelle del Brasile, perché gli alunni dei nostri centri possano continuare a crescere, a studiare e a maturare.

La valigia che alla partenza conteneva la fede e permise di animare la vita, di sostenermi nelle difficoltà e nei periodi provati, di motivare i molti lavori che riempivano le giornate, ora torna carica di esperienza e di molti volti, arricchita da tradizioni e culture differenti, piena di episodi belli e tristi. Una valigia il cui valore e contenuto è inestimabile, e durante gli anni della mia permanenza in Mozambico imparai ad apprezzare e a stimare.

Padre Agostino