Ed eccomi a Magaia...

Per quattro tende …

Quest’ultima domenica ho celebrato la messa delle sette in parrocchia. Alle otto e trenta era terminata la celebrazione e - contrariamente alle altre domeniche - per raggiungere la comunità non dovevo attraversare il fiume e pertanto avrei fatto nessuna passeggiata a piedi. Partii in macchina per andare alla comunità di Magaia, che è situata al di qua del fiume sulla strada nazionale numero uno ad una decina di kilometri da Marracuene. La strada nazionale che dovevo percorrere era stata riasfaltata e allargata qualche anno fa e il manto stradale era ora in buone condizioni. Giunto a Magaia per recarsi alla cappella occorreva lasciare la strada asfaltata e intraprendere poi la strada sabbiosa. I solchi delle ruote che indicavano il percorso da seguire si notavano appena tra la folta erba che con fatica lasciava distinguere la carreggiata. La presunta strada si confondeva tra le sterpaglie e l’erba, ormai alta e cresciuta per le abbondanti piogge. Sembrava di avanzare in un campo d’erba cui seminato raggiungeva il cofano. 

Lungo il percorso - come un autobus in servizio – mi fermavo per dare il passaggio alle persone che conoscevo e che mi aspettavano per recarci insieme alla cappella.. Dopo le varie fermate, giunsi alla cappella con una decina di persone sul cassone della Nissan. Era difficile limitare il numero delle persone alle quali dare il passaggio. Altre, pur di non camminare e andare a piedi, avrebbero desiderato che mi fermassi nonostante che erano già numerosi quelli presenti sulla macchina.

La cappella si presentava come la ricordavo. Il tetto in lamiera arrugginita era come un cola brodo e i fori - causati dalla corrosione - creavano all’interno dei fasci di luce che si proiettavano sulle pareti, che erano state imbiancate per coprire le scritte del partito predominante che in tempo di guerra aveva occupato tale edificio e aveva lasciato raffigurazioni ed esortazioni, ancora oggi visivi e leggibili sui muri esterni. Era da molto tempo che non tornavo in quella comunità per celebrare. Ricordo che l’ultima avvenne un anno e mezzo fa per il funerale dell’animatore, una persona seria ed affidabile, che si era prodigata per la comunità assumendosi responsabilità e compiti vari a secondo i tempi e le necessità.

Alla fine della celebrazione, l’animatore richiamava l’attenzione della comunità e lamentava che il pastore - oltre che a sostare bivaccando all’ombra della cappella con il proprio gregge delle capre - aveva forzato la porta e aveva preso la tovaglia dell’altare e le tende, che erano state comperate con i loro risparmi e messe da poco tempo alle quattro finestre. Come se non bastasse, aveva anche danneggiato una finestra togliendo un pezzo di legno. Sul volto di tutti si leggeva la disapprovazione per l’accaduto. Con i propri risparmi, la comunità stava aggiustando le finestre che erano rimaste trascurate fin dal tempo della guerra. Avevo notato, infatti, che avevano messo sul vecchio telaio le nuove finestre, anche se erano ancora senza vetri. Erano dei piccoli segni d’interesse che la comunità mostrava come se fosse la casa di ciascuno di loro, nonostante che l’animatore esortava tutti ad assumere maggior partecipazione e generosità.

Quando lasciai la cappella per tornare a Marracuene, esortai le persone a non ammassarsi esageratamente sulla macchina. Infatti, loro salgono prendendo posto in qualche modo e non si pongono limiti di numero. Strada facendo la macchina si alleggeriva e lasciavo una dopo l’altra le persone contente di aver evitato di tornare a piedi.

 

Per tre lamiere zincate ondulate, la pazienza per sopportare con pazienza

Ieri, invece, ho impiegato due ore e mezza per precorrere 10 kilometri, dal quartiere Benfica a Shopal. Mi avevano informato di non percorrere quella strada per entrare in Maputo e infatti - da quando ero tornato in Mozambico - non ero mai passato. Da parte mia, però era inevitabile ieri mattina non passare per quella strada. Il luogo dove dovevo recarmi per prendere tre lamiere zincate ondulate era proprio situato di fronte a quella strada.

Nonostante tutto, quando arrivai temevo che chiudesse per la pausa pranzo. Mi pareva di essere fortunato quando mi sentii dire che il loro orario era continuato senza pause fino alle diciassette, ora di chiusura. Tirando un sospiro di sollievo, dopo tanta pazienza sopportata in macchina procedendo a passo d’uomo e poi fermo e bloccato in colonna, ne segui uno di sconforto alla notizia che non avevano corrente. Questo significava che non potevano lavorare - fin quando non avrebbero avuto l’elettricità - e non avrebbero tagliato le lamiere che mi servivano. Dopo tutto quel tempo sprecato in macchina non valeva la pena – pensai – tornare a casa senza quanto mi serviva. Inoltre avrei dovuto ritornare un’altra volta, ripetere la stessa coda e perdere altrettanto tempo. Decisi che era meglio aspettare. Mi informai e mi risposero che erano dalle nove del mattina che erano impediti di lavorare per mancanza di corrente. L’incoraggiamento non fu di sostegno. Che la corrente mancasse a Marracuene era cosa ordinaria di tutti i giorni, che mancasse più volte durante il giorno noi ci eravamo pure abituati, ma che adesso succedesse anche in città e per un tempo così prolungato mi sorprendeva, e poi proprio ora mi scocciava.

Tra i vari pensieri che passavano per la mente, trascorse un’ora, ma la corrente ancora non era tornata. Decisi di continuare per quella strada e compiere alcune commissioni in città, nel frattempo – pensavo – di ritorno prenderò le mie lamiere sulla macchina e tornerò a casa. Così feci, ma quando ritornai stavano ancora dormicchiando approfittando della mancanza della corrente. Che delusione! Erano le quindici e ripartire subito per andare a casa non valeva la pena, dopo tutto il tempo che stavo perdendo! Occorreva pazienza – dissi tra me - per pazientare e sopportare con pazienza. Per distrarmi osservai i mezzi che componevano la lunga coda nella quale avrei dovuto aggiungermi per tornare a Marracuene. Erano di tutte le qualità e di tutte le misure, macchine e pulmini stracarichi per il servizio pubblico di trasporto di persone, pulman con persone che avevano caricato sopra il portapacchi le loro merci (poltrone, biciclette, bidoni, valige, mobiletti …) che formavano montagne composte di qualsiasi cosa e c’erano pure qualche capra ben legata e maiali, camion che trasportavano qualsiasi genere di carico insieme alle persone sedute sopra e sdraiate che riposavano … erano mezzi nuovi e altri sgangherati, lucidissimi e altri ammaccati e con parti arrugginite, vetri trasparenti e altri col celofan e altri sembravano più trasparenti, ma in realtà mancava il vetro, gomme nuove e altri mezzi con gomme larghe e da fuori strada e altri mezzi con gomme lisce da formula 1 (in realtà erano consumatissime), mezzi ai quali non si vedeva il fumo di scarico e altri che lasciavano una nube nera (bruciavano carbone?) o biancastra, rumori di motori che rombavano impazientiti, altri ai quali si aggiungevano le vibrazioni della carrozzeria sgangherata e di non so che, altri quasi silenziosi … A un certo punto, riaccesi il motore pure io e mi aggiunsi alla colonna. Erano quasi le quattro e la corrente non era ancora tornata. Dopo qualche centinaia di metri lasciai la strada nazionale numero 1 per intraprendere una strada sabbiosa e con buche che attraversava il quartiere e mi avrebbe permesso di evitare una estenuante coda, guadagnare tempo e risparmiare la pazienza utile per un altro giorno. Nonostante era bene andare piano - mentre attraversavo la baraccopoli con i loro abitanti riversati sulla strada - in poco tempo avevo percorso la stessa distanza che contrariamente sull’altra ben asfaltata mi avrebbe trattenuto in coda chissà fino a quando. Non avevo ancora mangiato nulla e cominciavo a pensare a cosa avrei potuto mettere sotto i denti. Alle lamiere avrei pensato un altro giorno.

 

22 dicembre 2010

 
Buon Natale e alla prossima, p. Ago